L’ultima spiaggia – Editoriale di Aldo Berlinguer – L’Unione Sarda del 18/02/2022

L’ultima spiaggia

Sono passati oltre 15 anni da quel dicembre 2006 in cui l’allora Commissario europeo Frits Bolkestein fece approvare l’omonima direttiva, che subito finì al centro di mille critiche. Essa, infatti, dava attuazione a principi cardine della UE, come il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, contribuendo a realizzare un mercato unico, concorrenziale, europeo. Ma, facendo ciò, metteva in discussione alcuni assetti consolidati in importanti settori produttivi.

Quando si è trattato di metter mano all’economia balneare, ad esempio, la tensione è aumentata a dismisura. Si scontrano infatti, in questo settore, almeno tre esigenze contrapposte: quella del sistema pubblico di far fruttare i beni demaniali dati in concessione. Quella degli operatori economici italiani ed europei che vorrebbero partecipare a gare aperte e trasparenti, quella degli attuali concessionari che hanno fatto investimenti e vorrebbero recuperarne il costo.

L’argomento è dunque spinoso, tanto che la politica italiana ha sempre pensato bene di evitarlo, differendo il recepimento completo della Direttiva a data da destinarsi. Così mentre le problematiche relative alle professioni e agli ambulanti sono state nel tempo in buona parte dipanate, quelle relative alle concessioni balneari sono state rinviate, secondo il noto adagio che, in Italia, nulla è più definitivo di ciò che è temporaneo. E così è stato: si è deciso di non decidere.

I lidi dati in concessione, che in alcune regioni superano il 70% del novero totale, hanno quindi goduto di proroghe su proroghe. L’ultima, largita con la legge n. 145/2018, le ha differite al 31.12.2033. Nel frattempo, è però intervenuto il Consiglio di Stato il quale, disapplicando la normativa italiana in contrasto con  quella europea, ha sancito la necessità di riassegnare le concessioni mediante gara (ciò che la Direttiva richiedeva già molti anni orsono) fissando la scadenza del 31.12.2023.

Ovviamente non sono mancati gli esponenti politici che, invece di risolvere il problema, hanno tentato di accaparrarsi gli elettori, andando incontro agli scontenti in difesa dell’italianità. Come se la paralisi delle concessioni (non solo quelle balneari) non affliggesse anche altri operatori (attuali o potenziali) tutti italiani, non deprimesse gli investimenti (il monopolista ne fa sempre pochi), non riducesse il PIL e le entrate pubbliche.

E così, nell’inerzia collettiva, ha potuto proliferare per decenni l’antica consuetudine versiliana del “librone”: una specie di grosso volume, in mano ai gestori dei lidi, con raffigurate le file di ombrelloni e la loro assegnazione in base all’anzianità: chi è abbonato da maggior tempo avanza sino al bagnasciuga, chi è arrivato da ultimo si mette in fondo. Man mano che gli anziani passano a miglior vita, si scorre in avanti e gli abbonati più recenti guadagnano metri verso il mare. Almeno la trasparenza è assicurata.
Un vero capolavoro di competitività e innovazione, non propriamente in linea con il mercato unico sognato dai padri fondatori della Comunità europea.

Ma allora, che fare? Giustamente i balneari invocano una soluzione politica: una legge che contemperi le diverse esigenze salvaguardando gli investimenti fatti e rispettando i principi europei.

E la politica che fa? Fa i conti col pallottoliere: intanto meglio assecondare i balneari: oltre 800 mila occupati fanno gola e le elezioni politiche si avvicinano. Possibilmente senza decidere: si rischia un conflitto con la UE che in tempi di PNRR non conviene. Si è dunque tentato di rimandare nuovamente, tanto la scadenza fissata è oltre le elezioni. Ci pensi il nuovo parlamento, qualcuno ha detto. Altrimenti c’è sempre Draghi: perché non dare la patata bollente a lui, che è un tecnico?

Detto, fatto: il Consiglio dei Ministri ha appena approvato all’unanimità alcuni emendamenti al d.d.l. concorrenza che tentano di contemperare le diverse esigenze: concessioni a gara dal gennaio 2024 ma attenzione anche agli investimenti fatti e alla posizione dei gestori che, negli ultimi cinque anni, hanno utilizzato lo stabilimento come principale fonte di reddito.

Massima apertura anche alle microimprese e valorizzazione dei requisiti di capacità professionale ed esperienza maturati sul campo, senza con ciò scoraggiare i nuovi imprenditori. Inoltre: giusto equilibrio tra aree demaniali in concessione ed aree libere, varchi assicurati e attenzione all’accessibilità dei luoghi per i diversamente abili. Ma anche giusto contemperamento tra tariffe e qualità del servizio. Insomma, nella vacuità della politica, ci hanno pensato i tecnici, inserendo nel quadro normativo anche una delega al Governo per il completamento della riforma.

Nel frattempo, si moltiplicano i se e i ma; alcuni leader politici stanno prendendo le distanze e il Parlamento, dimostratosi ancora una volta inerte, rumoreggia scontento.

Siamo alle solite. La stessa politica opportunista e inconcludente che (come per il Quirinale) rinvia ogni decisione, poi si lamenta che, in questo Paese, le decisioni le prende la magistratura.

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