Cambiare la giustizia – Editoriale di Aldo Berlinguer – L’Unione Sarda del 09/02/2022

Cambiare la giustizia

Dopo il disco verde della Cassazione, si avvicina il parere della Consulta, previsto per il 15 febbraio, sulla prossima tornata referendaria. E, a guardare le forze politiche in campo, si preannuncia una vittoria dei Sì. Emergerà dunque la montante sfiducia popolare nei confronti della giustizia italiana che dovrà essere recepita, anche oltre i sei (+2) quesiti referendari, dal Parlamento: unico in grado di intervenire organicamente sulla materia.

Tra i tanti problemi, uno rischia di rimanere nell’ombra: la formazione e il reclutamento dei magistrati, mentre esso è pregiudiziale rispetto ad altri (come i rapporti tra magistratura e politica) ormai assurti a vulgata collettiva. Per comprenderlo, immaginiamo, per un attimo, che a dirimere le controversie siano i professori universitari (ciò che anticamente è pure avvenuto). Ne sarebbero capaci? Credo proprio di no. Eppure docenti universitari, avvocati e magistrati hanno tutti la stessa formazione di base. Ma mentre gli avvocati sono subito chiamati alla quotidiana operatività forense, le altre due carriere restano ancorate ad una preparazione eminentemente teorica, fatta di anni sui libri, ed anche agli aspiranti magistrati è richiesta un’esperienza professionale esigua e in buona parte facoltativa.

Mentre però, i professori universitari giudicano la preparazione tecnica degli studenti, i magistrati giudicano i fatti umani, economici e sociali dei litiganti, ai quali sono tenuti ad applicare il diritto. Fatti che essi debbono dunque comprendere appieno per poterli poi inquadrare giuridicamente. Ma se proprio le doti essenziali all’attività del giudicare: equilibrio, saggezza ed esperienza, non vengono richieste ai magistrati, non potendo certo desumersi da un concorso pubblico, ecco che il sistema rivela tutte le sue criticità. D’altronde, lo dice il buon senso: chi ha scarsa esperienza non può giudicare quella altrui.

Eccoci dunque al punto: la riforma più urgente risiede nel richiedere ai magistrati una esperienza professionale almeno decennale nella professione forense; ciò che avrebbe alcune ulteriori conseguenze benefiche.

Eviterebbe che magistrati troppo giovani si trovino tra le mani la vita delle persone, facendo forzatamente esperienza a loro spese. Contribuirebbe a ricostituire e pacificare quella comunità degli operatori del diritto che abbiamo perso, storicamente, con l’arrivo delle codificazioni. Aiuterebbe a riavvicinare l’istituzione giudiziaria alla vita quotidiana dei cittadini. Si dirà: finirebbe col fare il magistrato solo chi non ha successo nella professione forense. Non è detto, anche perché già oggi molti aspiranti magistrati diventano prima avvocati senza neppure cimentarsi in quella professione. Andrebbe piuttosto introdotta una valutazione sull’effettività dell’attività svolta e sulla probità e capacità dell’avvocato dimostrate sul campo. Mentre potrebbe a questo punto affievolirsi il carico tecnico dell’esame di ingresso alla magistratura (già oggi forse eccessivamente compilativo). E poi, appena abilitati, tutti in servizio fuori dalla Regione di provenienza.

Purtroppo, temo che, senza una riforma simile, le risposte, pur opportune, ai quesiti referendari, non cambieranno di molto lo stato delle cose.

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