L’inganno dei partiti – Editoriale di Aldo Berlinguer – L’Unione Sarda del 01/02/2022

L’inganno dei partiti

È entrato di tutto nella partita per il Quirinale: gli equilibri del Governo, la tenuta delle coalizioni, la sopravvivenza dei parlamentari. E pure qualche ambizione individuale. Tutto meno che una valutazione sul merito dei candidati; sull’idoneità morale, culturale e professionale del nuovo inquilino del Colle, sull’interesse generale del Paese.

Piuttosto (per nascondere quanto sopra), si è preferito riproporre, sempre uguale a se stessa, la rappresentazione geografica della politica: le destre e le sinistre contrapposte, ciascuna in cerca della propria affermazione, con un toto-nomi che sembrava una lotteria. E con un sistematico fuoco di fila, della parte avversa, finalizzato a colpire “il metodo” (si è  detto) non il “merito” delle candidature. Del quale, infatti, non si è occupato nessuno.

Alla fine, perduta ogni credibilità, dinanzi ad un Paese sbigottito, attanagliato dalla pandemia, sommerso dai debiti e costretto ad assistere all’estenuante commedia kafkiana di questi giorni, l’inevitabile compromesso: utile a mantenere equilibri, aspettative, rendite. E a salvare la faccia: quella dei “perimetri sovrapposti” (come li ha definiti Enrico Letta) e scomponibili: coalizioni a geometria variabile che dal comune sostegno al Governo Draghi si sono ritrovate (come centro-destra e centro-sinistra) ai due lati del tavolo, nell’apparente rappresentazione di due visioni contrapposte della società e di due fronti al loro interno coesi, senza crepe né fessure.

Due fronti che restituiscono quella connotazione “geografica” da sempre utile alla politica perché, semplificando fenomeni complessi, aiuta ad orientare gli elettori, i quali, spaesati, rischiano altrimenti di perdersi. Ma si tratta di un inganno, un’illusione. Infatti, le forze politiche di oggi non si richiamano più alla tradizione dei grandi gruppi politici del novecento (socialisti, popolari, liberali, repubblicani ecc.) ma usano spesso nomi di fantasia, come Italia viva, Coraggio Italia, M5S..ecc. E’ quindi naturale che anche la loro ubicazione fisica, a Montecitorio e Palazzo Madama, ne risenta, facendo apparire le antiche collocazioni parlamentari come uno sbiadito ricordo.

Accorgiamocene una volta per tutte: il tavolo non è più rettangolare; è rotondo e ciascuno siede accanto a chi più gli conviene. La geografia non è più ideologica ma meramente tattica, quando non casuale. E risulta fuorviante anche per altre ragioni. Anzitutto, essa riflette una visione statica della politica, una sorta di fotografia istantanea. Mentre è noto che le foto si recuperano dal passato o si fanno al presente. Non si scatta una foto del futuro.

L’ubicazione fisica di una forza in Parlamento nulla dice sul dove essa voglia andare e come. E questo porta ad eludere gli obiettivi che ciascuno vuole realizzare. Per cui finiamo sempre col parlare di intese, ammiccamenti, alleanze piuttosto che dei dossier chiave dell’oggi e del domani: ambiente, energia, sicurezza, welfare, ecc.

Inoltre, la geografia ci inculca una visione pregiudiziale dell’interlocutore, dell’altro, tutta proiettata sul suo passato. E ci costringe a camminare in avanti rivolti indietro, consentendo a chi non ha argomenti di usare le solite semplificazioni: poiché sei di destra, o di sinistra, sei diverso, ti combatto. Il dibattito politico, in una società complessa, tecnologica, globale, che esige risposte altrettanto complesse, articolate e tecnicamente ben ponderate, viene dunque banalizzato e svilito. Mentre chi ha idee, progetti, visioni fa fatica a confrontarsi e spesso si ritrova solo, senza interlocutori.

Del resto, diciamoci la verità: i progetti non hanno mai interessato la politica, consapevole com’è che chi li concepisce è poi chiamato a realizzarli. E, se non ci riesce, ne paga poi le conseguenze. Meglio sventolare bandiere che progettare il futuro. Galleggiare conviene più che navigare, così non si sbaglia rotta.

Il problema non nasce oggi, viene da lontano. Ricordo ancora la battuta di un vecchio militante della prima Repubblica: passavamo giornate intere a discutere animatamente di grandi ideali. Alcuni ci credevano davvero. Altri sembravano anch’essi coinvolti e appassionati. Ma d’un tratto, raggiunto in qualche stanza del piano di sopra l’accordo su nomine e incarichi, tornava il sereno. Le idee di alcuni si palesavano pretesti. E chi ti aveva combattuto ti dava una pacca sulla spalla. Dai, non te la prendere. È la politica.

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