Quei voli del futuro – Editoriale di Aldo Berlinguer, ne L’Unione Sarda

Quei voli del futuro

Era il 1940 quando Henry Ford proferì la famosa frase: “Segnatevi queste parole: un giorno automobili e aeroplani si combineranno”. Oggi, la sua profezia si sta avverando, con tanti produttori pronti a varare veicoli a decollo verticale (VTOL) capaci di spostare persone in pochi minuti all’interno delle aree metropolitane più congestionate al mondo.

Ci stanno lavorando in tanti: Airbus, Boeing, Hyundai, Honda, Uber. Alcuni, come la giapponese Skydrive, impegnati nel far raggiungere, entro il 2050, ciascuno dei 23 distretti di Tokyo in 10 minuti. Altri, come la cinese Terrafugia, l’olandese Pal-V o l’americana Samson Sky, stanno elaborando prototipi sempre più innovativi.

Con loro ci sono alcuni governi nazionali che cercano di precorrere il futuro con investimenti nel settore. Così Chris Sununu, Governatore del New Hampshire, ha promulgato una legge che consente a veicoli parificati agli aerei (con un numero identificativo ed in regola con gli standard della Federal Aviation Administration) di circolare su strada, decollando e atterrando in spazi dedicati. Il governo giapponese autorizza l’utilizzo di tali mezzi di trasporto già dal 2023. E la Francia vuole averli pronti per le Olimpiadi del 2024.

Da ultimo, la società tedesca Volocopter ha annunciato il primo drone-taxi della storia, la cui messa in esercizio è prevista per il 2024 sulla tratta Roma-aeroporto di Fiumicino. Si chiama “Volocity”: un piccolo elicottero a due posti, con18 rotori, alimentato da 9 batterie al litio. Avrà una velocità massima di 110 km/h; sarà inizialmente guidato da un pilota e, nella versione finale, da remoto. Basta un click e l’aerotaxi va a destinazione in autonomia.

Ovviamente, gli investitori mirano ai mercati più redditizi. E, all’inizio, il servizio avrà costi significativi (a Roma almeno140 euro a passeggero). Ma è evidente che se il Governo e le Regioni italiane capissero che vale la pena investire su simili innovazioni, attraendo ricerca e produzione sui propri territori, le cose cambierebbero.

E allora chiediamocelo: possiamo noi italiani, per una volta, precorrere questa evoluzione per soddisfare nostre esigenze? E non arrivare buoni ultimi recependo le ricette altrui? Potremmo, ad esempio, impiegare simili veivoli nella mobilità delle aree interne o insulari?

In Sardegna, lo sappiamo, su 377 comuni, 318 sono ubicati nelle aree interne e vi risiede metà dei sardi. La densità abitativa è ridotta al lumicino, con 69 abitanti per km2. Siamo terz’ultimi in Italia, dopo Val D’Aosta e Basilicata. Ma la Strategia dell’Agenzia per la coesione sulle aree interne (SNAI) è ferma al palo da anni e nelle due aree sarde pilota: Alta Marmilla e Gennargentu-Mandrolisai (30 comuni e 22 mila residenti) la SNAI non sanno neanche cos’è.

Perché allora non investire (anche) su veicoli elettrici per trasporto individuale e collettivo almeno all’interno della nostra isola? Atteso, tra l’altro, l’elevato contributo che essa versa alla raffinazione di combustibili fossili?

Che aspettiamo ad usare i fondi del PNRR per progetti davvero innovativi invece di tirare fuori dai cassetti quelli, spesso obsoleti, parcheggiati da anni? Oppure pensiamo davvero di costruire strade, ponti e ferrovie entro il 2026?

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