Editoriale Berlinguer sul Mediterraneo

Mediterraneo: sfida cinese all’Ue

La pandemia Covid-19 ce lo ha ribadito: è fittissima la rete delle interconnessioni globali, non soltanto sul piano ambientale e sanitario ma anche culturale, sociale, della mobilità, dei mercati. Lo Stato ottocentesco, basato sulla sovranità nazionale, sulla forza, sul territorio, ci aveva infatti illuso di poter vivere in tante nicchie protette. Ma quello Stato non esiste più e oggi navighiamo, forzatamente, in mare aperto.

Ancor più se questo mare ti circonda, portando con sé insidie e opportunità. Come il Mediterraneo per la Sardegna; un mare che, negli ultimi decenni, ha recuperato forza e centralità, ancor più dopo la fine della guerra fredda, quando le politiche euro-asiatiche si sono incontrate tentando di emanciparsi dagli indirizzi statunitensi. Nel 1995, alla Conferenza di Barcellona, per la prima volta si è parlato di Partenariato Euro-Mediterraneo, aprendo così all’entità geo-politica “Mediterraneo”.

Il “mare nostrum” si è quindi aperto, sempre più, al commercio estero, specie negli ultimi due decenni. Le economie dell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) sono cresciute mediamente del +4,4% annuo contro una media Ue a 28 di meno della metà (+1,9%). Trend, questo, che probabilmente tornerà a crescere con la fine della pandemia. Altro dato (confermato dal World Population Prospects Report delle Nazioni Unite): la popolazione africana aumenterà dai 1,06 miliardi attuali ai 1,4 miliardi nel 2030, fino ai 2,12 miliardi nel 2050, con un reddito pro capite assai migliorato negli ultimi anni.

Il Mediterraneo diviene dunque cruciale per le comunità che vi si affacciano, ma non solo. Anche la Cina ha aumentato il suo commercio estero in quest’area del 841% negli ultimi 15 anni. E ciò grazie anche all’allargamento del Canale di Suez, avvenuto nel 2015, che è oggi il principale snodo del traffico marittimo mondiale, con un volume di traffico quattro volte maggiore di quello del Canale di Panama. Suez è centrale anche per la nuova Via della Seta (Bri) che vede massicci investimenti nel Canale e in Egitto e la presenza cinese nei porti del Pireo e in Israele, Spagna e ora anche Italia.

Il Mediterraneo è quindi cerniera di due mercati (a Nord l’Europa, a Sud l’area Mena) che insieme fanno più scambi al mondo, coniugando inoltre manifatturiero ed energia. Al contempo il Mediterraneo consente di raggiungere la sponda Atlantica degli Usa.

Per la Cina, l’alternativa, via Panama, è sempre meno attraente. Il gigantismo navale delle “Suezmax”, fino a 20 metri di pescaggio (avete visto l’Ever Given?), richiede infatti enormi carichi. La rotta da Shanghai a New York, via Panama, è solitaria nel Pacifico, con poche fermate.

Quella via Suez assicura molti scali in Paesi importanti (dal Pakistan al Golfo). Ma il gigantismo navale comporta anche sfide: impone infatti di
adeguare i nostri porti, facendo sì che il Mediterraneo non sia solo luogo di transito ma diventi la porta italiana all’Europa, evitando che prevalgano la portualità spagnola e francese ad ovest, e greca e turca ad est. Occorre dunque potenziare i sistemi portuali dell’Alto Adriatico (Ravenna, Venezia, Trieste, Koper e Rijeka) e dell’Alto Tirreno (Savona, Genova, La Spezia e Livorno), coinvolgendo anche Cagliari e la Sardegna non solo nel transhipment ma anche nella trasformazione delle merci in transito.

Occorre inoltre evitare la cosiddetta digital disruption delle filiere logistiche, che ha ridotto a commodities i servizi di trasporto marittimo, di trasbordo portuale, di gestione dei traffici lungo la filiera logistica, di trasporto, ecc. E far fronte alla cosiddetta slowbalization: cioè alle strategie economiche, tecnologiche e militari messe in campo da americani e cinesi per la supremazia mondiale, tra le quali il disallineamento programmato delle relazioni commerciali e la competizione tecnologica (5G, intelligenza artificiale, ecc.).

Su queste ed altre fondamentali vicende, la Ue, stretta (già prima della pandemia) tra Brexit e crescenti tensioni sovraniste, si è fatta trovare impreparata. Essa ha avviato in ritardo la Eu-China Connectivity Platform, utile a coniugare le politiche europee con la Via della Seta cinese, e messo così a rischio gli obiettivi della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T) e delle reti su energia e telecomunicazioni, il cui completamento è previsto per il 2030-2050.

Non parliamo poi dello Stato italiano che, impersonato da giovanotti telegenici, ha pensato più ad apparire che a coltivare interessi strategici, risultando del tutto marginale nelle dinamiche in atto.

E che dire della Sardegna: la “bella addormentata nel mare”, avulsa e indifferente da ciò che la circonda. Destata, a tratti, da qualche piccolo sussulto, dovuto a microappetiti e scaramucce interne, continua supinamente il suo sonno incantato.

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